
un racconto breve di Silva Ganzitti
I giorni alla finestra
Il ritaglio del parco, uno spicchio di cielo, la parabola del sole e di notte l’alone della luna, un cerchio sfumato che si addensa come succo di limone.
Matematica e geometria dal riquadro di vetro, l’unico occhio su un mondo fermo e silenzioso. E un po’ di botanica.
Di fronte a casa mia vive un camionista. Parte all’alba, il rimbombo roco del motore e il ruggito della marcia. Da quando viviamo reclusi il suo giro è limitato al lungo perimetro dei confini regionali.
Giro, perimetro, geometria geografica.
Sua moglie sembra una bambina con quel vestito rosso che il pancione solleva davanti a scoprire le ginocchia, un ventre tondo, un piccolo melone. Ho visto il diametro del suo bacino allargarsi in questi mesi, ma le gambe no, sono secche come sedano.
Sedano, melone, diametro. Geometria e botanica.
Riesco quasi a sentire il fiato caldo di lui che si posa sul suo collo esile e lei ritira la testa nelle spalle a tradire qualche brivido, poi sorride e i suoi occhi si allargano. Lo vedo perfino da quassù, il suo respiro accelerato, le parole che restano sulla punta della lingua. Sento tutto, nelle orecchie, sulla pelle e nel cuore, sento i loro abbracci. Li sento perché li desidero anch’io.
La solitudine è una scelta, come lo sono la matematica, la geometria e la botanica. Non lo è la geografia, non lo sono i confini imposti. Quando qualcosa è imposto tutto cambia.
Sono le otto. Venti volti assonnati si affacciano dallo schermo, la mia finestra quotidiana.
“Buongiorno, prof.”
Matematica, geometria, botanica. Di questo parlerò oggi, come ho fatto ieri e la scorsa settimana, come farò ancora finché ci sarà una classe ad ascoltarmi. Ridisegniamo insieme la geografia di un percorso, l’unico confine, questo “dovere” che scalza il piacere dai volti. Da tutti, a partire dal mio.
“Oggi vorrei parlare di speranza. Come nasce, come cresce, di quali cure ha bisogno, un sentimento che trova la sua strada anche nel pietrisco di un sentiero di montagna, fra i sanpietrini di città o nella resa del cemento.”
La speranza, che bella parola. Nella luce finta che attraversa le tessere della griglia ho intravisto brillare i loro occhi. “Bene, proviamo a piantarla in un prato di pixel.”
Bello, bello. Molto efficace . Molto vicino a tutto ciò che sentiamo. Ha un bel ritmo.
grazie, detto da te ha un gran valore!
Percezione. Questa la chiave del racconto secondo me. Dalla rocca della solitudine la voce narrante percepisce il sentimento dell’amore, la virtú della speranza.in quanto aspirazione alla felicità. Ma anche la previsione della maternità è percezione di un atto di amore che si ricollega alla speranza. Il triangolo si ripete come in uno specchio: matematica geometria botanica dentro; amore, speranza, generosità riflessi. Ma riflessi dove? Su venti volti, venti anime che pur attraverso lo schermo piatto del computer rimandano seppur sotto forma di pixel quei particolari luminelli schegge bagliori che altro non sono che il vertice del triangolo.
ti ringrazio di cuore, Luigi, e non solo per il gradimento. Hai voluto spendere parole sulla struttura e te ne sono davvero grata. l’ho scritto in meno di un’ora, praticamente di getto, perché volevo partecipare a un concorso al quale partecipavano migliaia di racconti. Alla fine l’ho caricato male o in ritardo, non lo so, e sono rimasta fuori. Qualche sera fa l’ho aggiustato – si fa ed è un bene farlo – e l’ho mandato a Giancarlo come piccolo contributo a questo blog già così felicemente affollato. Spero di poter legger anche qualcosa di tuo presto
geometricamente poetico
Giulia, grazie di cuore!